Sul miso, come per la kombucha ed altri fermentati, si raccontano diversi miti e leggende, ma le fonti più attendibili collegano il suo arrivo in Giappone dalla Cina intorno al settimo secolo grazie ai monaci buddisti.
L’utilizzo di questa pasta fermentata composta da cereali, fagioli di soia e sale, giocava un ruolo importante nella conservazione del cibo durante i mesi più caldi. La pasta di soia fermentata diede poi origine al miso e alla salsa di soia, da allora i due capisaldi della cucina giapponese.
In origine era un alimento considerato di lusso e riservato alla nobiltà, utilizzato anche dai samurai per le sue proprietà energetiche.
Il miso è un ingrediente magico, utile da conoscere e da aggiungere alla vostra dispensa. Molto versatile in cucina, ha un’infinità di sapori, è ricco di umami ed è l’alimento probiotico per eccellenza.
Come viene prodotto
Come abbiamo visto per la salsa di soia, anche il miso è un fermentato a base di fagioli di soia, koji di cereali e sale.
Anche in questo caso si sfruttano gli enzimi prodotti dal koji per scomporre le proteine e l’amido in aminoacidi e zuccheri semplici. Ma non si tratta soltanto di una fermentazione enzimatica: nel processo intervengono anche lieviti, batteri LAB e batteri acetici AAB che apportano nuove note aromatiche ed accentuano il sapore rendendolo un ottimo esaltatore. Fornisce inoltre una base aromatica, aggiunge le note del gusto salato, acido, dolce e umami ai piatti a cui viene aggiunto.
La sua produzione si divide in due fasi: prima si coltiva il koji su un substrato di cereale (riso o orzo) che poi viene unito ai fagioli di soia cotti e sale formando una pasta che viene fermentata tradizionalmente in tini di legno per un periodo che va da pochi mesi a tre anni.
Ad ognuno il suo miso
Il miso può essere preparato con il koji di riso misto a soia, koji d’orzo misto a soia oppure solo soia.
In commercio si possono trovare diversi tipi di miso con differenti caratteristiche che variano in base agli ingredienti utilizzati, al tipo di koji e al tempo di fermentazione.
Come d’abitudine, i giapponesi amano classificare gli alimenti, aspetto culturale generalmente apprezzato in tutto il mondo, in particolare da me. Nel caso del miso viene classificato anche in base al clima, alla regione di produzione, alla materia prima utilizzata e al metodo.
Come per il vino, esistono dei veri e propri “sommelier del miso” che sanno identificare il tipo di miso ed elencarne le caratteristiche.
In cucina, in base al tipo di ricetta, si può scegliere il tipo di miso da utilizzare; uno dei fattori più importanti da tenere in considerazione è il tempo di fermentazione a cui è stato sottoposto il miso che è il fattore che più influenza il sapore finale. Un miso fermentato pochi mesi tende ad essere dolce e delicato rispetto a un miso stagionato anni, dal gusto salato e ricco.
Per una visione generale vediamo alcuni tipi di miso e come possiamo utilizzarli:
Miso bianco (shiro)
Il miso shiro è il più prodotto in Giappone, occupa più dell’80% del mercato. È composto da koji di riso, fagioli di soia e sale. Può essere dolce o piccante in base al contenuto di koji, viene fermentato per pochi mesi ed ha un colore chiaro. Dal sapore delicato e leggermente salato, è molto versatile e dà un po’ di grinta al pesce, alle verdure e ai latticini. In alcune ricette lo utilizzo per marinare il pesce bianco o come condimento per tartare di pesce e crostacei ed anche per preparare la maionese.
La sua variante più salata e aromatica è il miso giallo (Shinsu) che viene fermentato leggermente più a lungo, guadagnando più sapidità ed umami.
Miso d’orzo (Mugi)
Il miso fatto con l’orzo è composto da koji d’orzo, fagioli di soia e sale. Consumato maggiormente nelle zone rurali del Giappone, viene infatti chiamato il “miso di campagna”. Ha la particolarità di essere consumato dagli agricoltori e dagli appassionati del suo gusto caratteristico. Rispetto al miso bianco, contiene molta più fibra e proteine, ha un sapore molto dolce e un aroma ricco con un basso contenuto di sale.
In cucina si può utilizzare tranquillamente al posto del miso bianco, ottimo per marinare le carni bianche, dà una nota molto aromatica a contatto con il fuoco, come nel caso del pollo alla brace ed è un ottimo esaltatore per le frattaglie. Provatelo con la trippa alla parmigiana!
Miso rosso (Aka)
Composto al 100% di koji a base di fagioli di soia e sale, è prodotto dalla soia inoculata con A. sojae e sale. Di color ruggine, fermenta fino a tre anni, molto salato, ricco di umami e dal sapore profondo. A Tokyo ho assaggiato il Nagoya miso servito sulla Miso Katsu (cotoletta di maiale glassata con un salsa a base di aka miso): mi ricordo ancora oggi il suo sapore deciso, con note di cioccolato, acidità che ricorda le albicocche secche e una lieve dolcezza che ricorda la pasta di datteri.
Si abbina molto bene a stufati di carne ed è un ottimo esaltatore della salsa di pomodoro. Eh si! Anche nella salsa di pomodoro! Non è un abbinamento casuale, ma si tratta di un accostamento sinergico che abbiamo visto nell’articolo sull’umami. Da usare con cautela perché il suo sapore ricco può sovrastare gli altri ingredienti.
I miso artigianale ha molte caratteristiche organolettiche: come tutti i fermentati contiene fermenti vivi che vanno preservati (è bene tenere a mente che a 50°C muoiono, quindi non fate bollire il miso e aggiungetelo sempre a fine cottura).
A livello nutrizionale
In generale, quando si parla di alimenti fermentati, è inevitabile correlarli al beneficio che essi apportano alla salute. Come alimento fermentato il miso ha un’effetto regolatore dell’attività intestinale e cerebrale, abbassa il colesterolo e previene l’invecchiamento precoce; insomma, ha tutte le caratteristiche per essere chiamato superfood. Recenti studi collegano il miso ed altri prodotti fermentati alla longevità e alla minor incidenza di malattie dell’apparato cardio circolatorio e del sistema nervoso autonomo.
Tutti questi benefici derivano dall’ingrediente principale: la soia. Con il suo alto contenuto di proteine, lipidi, vitamine e sali minerali che si trasformano durante la fermentazione per mezzo del nostro amato koji, acquisisce un elevato valore nutrizionale.
Solo ultimamente, grazie al progresso tecnologico, siamo stati in grado di analizzare e valutare la ricchezza invisibile di questi cibi. Mi affascina pensare a come l’uomo abbia cominciato a fermentare gli alimenti senza saper bene cosa stesse facendo, pensando che stesse accadendo una sorta di magia, e a come queste fermentazioni siano passate di persona in persona fino a perdurare ancora oggi dove, finalmente, possiamo valorizzarle come meritano.